giovedì, 17 Ottobre 2024

Guerra e strategia italiana, Gen. Cosimato: «Il bilancio di spesa attuale non basta»

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Nel riassetto strategico europeo molti rievocano scenari da guerra fredda, Stati Uniti e Russia che tornano palesemente a mostrare i muscoli. «Ma il coinvolgimento americano in Ucraina è di lunga data», dice Francesco Cosimato, generale, pluridecorato, con un passato nella NATO e nello Stato maggiore, esperto di guerra elettronica e di relazioni internazionali. «Anche se i media non ne hanno parlato, i canali di assistenza militare e civile degli USA all’Ucraina sono noti e consolidati. Stando a varie fonti, dal 2014 al 2021 il sostegno finanziario complessivo ammonterebbe a circa 4,6 miliardi di dollari, di cui 2,5 per le sole capacità di difesa». Eppure, mentre Putin torna a parlare di minaccia nucleare, le ombre del secolo passato non possono che tornare in mente e ci si interroga su come reagirà l’Occidente, ora che la pace è compromessa.

Quali nuovi equilibri emergono con questa guerra, in Europa e in seno alla NATO?

«La NATO è un’alleanza difensiva che, di per sé, non può ridefinire equilibri geostrategici nuovi. Qualsiasi espansione dei suoi confini rischia di farle assumere una postura offensiva che non giova alla pace internazionale. Gli allargamenti avvenuti sinora sono stati in qualche modo tollerati dalla Russia. Allargamenti verso l’Ucraina, la Georgia e la Moldavia non sarebbero tollerati. La recente richiesta del Kosovo in tal senso potrebbe peggiorare la situazione. Qualche anno fa Macron aveva dichiarato che la NATO era “in stato di morte cerebrale”, prendo atto del fatto che ha cambiato opinione. Al di là del rifiuto del Segretario Generale della NATO, Jens Stoltemberg, di considerare la neutralità dell’Ucraina, o almeno una moratoria per il suo ingresso, non mi pare che siano emerse strategie nuove».

La minaccia, anche se solo accennata, del nucleare, ha riportato l’attenzione sui programmi dei vari Paesi. Ci potrebbero essere conseguenze?

«La minaccia nucleare è purtroppo sempre pendente, anche se se ne parla ora per la prima volta da molto tempo. L’Italia è priva di armi nucleari, pur avendo delle testate statunitensi che rimangono sotto il controllo USA. Nel corso degli anni tutti gli accordi per il controllo degli armamenti nucleari e convenzionali hanno perso d’importanza, si tratta di un fatto triste e pericoloso. Rivolgervi di nuovo l’attenzione è un compito importante per le diplomazie che è stato troppo trascurato».

La Russia, come abbiamo visto, ha fatto uso di armi non convenzionali, ha colpito obiettivi civili e, soprattutto, ha dato inizio a un’invasione. Si tratta di una serie di crimini di guerra che possono essere oggetto di processo alla corte internazionale dell’Aja, ma inciderà sul negoziato?

«La situazione sul campo è molto confusa e viene spettacolarizzata sui media. Guardando ai processi per eventi simili, penso alla ex Jugoslavia, non sarà facile configurare i crimini commessi dalle parti, anche se sono al momento evidenti. L’Ucraina e la Russia non hanno ratificato lo Statuto di Roma del 1998, che istituisce la Corte Penale Internazionale. Non credo che l’ipotesi di messa in stato d’accusa della dirigenza russa sia agevole ed efficace. Ritengo che i negoziati, nella speranza che assumano un ruolo più importante, non saranno influenzati significativamente da questa questione, che sembra appartenere più alla sfera dei condizionamenti mediatici».

Questa situazione ha riportato l’attenzione sull’Europa e messo in luce le debolezze dell’UE. Crede che una difesa europea sia necessaria e possibile?

«Si tratta di un discorso molto lungo e complesso che coinvolge gli aspetti più importanti dell’Unione. La dirigenza dell’Unione Europea chiede nuove cessioni di sovranità, ma queste non appaiono verosimili. Al di là del fatto che l’Europa è un concetto culturale, ma non è una nazione alla quale i cittadini europei sembrano volersi affidare. La politica dovrebbe considerare che una difesa comune richiede massicci investimenti negli asset strategici (trasporto aereo strategico, satelliti da ricognizione, comunicazioni strategiche). Queste risorse sono attualmente fornite dagli Stati Uniti attraverso il “Berlin plus Agreement”. Fintanto che questa situazione rimane invariata, mancano i presupposti per parlare di Difesa Comune».

Assistiamo a un conflitto sempre più esteso sul piano dell’informazione, dei media, del digitale. In pratica, la guerra si combatte anche sui social network, spesso grazie a privati. Quali nuove minacce si possono generare?

«La dimensione mediatica della guerra non è un fatto nuovo, così come la presenza di “contractors” privati che sono disposti a entrare in questo “business”, curioso che nessuno voglia chiamarli con il loro nome: soldati di ventura. La dimensione digitale del conflitto in atto è conseguente al grado di digitalizzazione della nostra vita, i comandi militari usano da tempo tecniche di “influence”, cioè di condizionamento mediatico. La parte più rilevante è costituita dalle cosiddette “information operations”. Dietro i fondi necessari per queste attività ci sono in ogni caso i governi, i privati non si muovono certo soli».

Per la prima volta, per gli Stati Uniti, gli attacchi informatici saranno considerati come veri e propri atti di guerra. Siamo preparati a una guerra di questo genere?

«Molti analisti del settore sostengono che dietro attività come quelle di “Anonymous” si celino organismi governativi. Si tratta di attività complesse e costose, soprattutto se rivolte verso sistemi militari che, come noto, utilizzano risorse dedicate. Di recente, l’anno scorso, è stato costituito in Italia un Comando Cibernetico che si occupa di queste cose. Ciononostante, temo che siamo ancora in una fase iniziale. Parlare di investimenti militari nel nostro Paese è sempre stato difficile e infruttuoso, non mi pare che la dirigenza politica possa comprendere l’importanza di queste attività».

Più in generale, come incidono gli eventi recenti sulla spesa militare italiana?

«Il budget della Difesa in Italia non può essere considerato in termini esclusivamente generali e ideologici come fatto sinora, piuttosto dovrebbe essere realmente commisurato alle minacce che si intravedono e alle attività che realisticamente possiamo svolgere. A oggi, le spese per il personale ammontano a poco più del sessanta per cento, l’esercizio occupa circa il dieci per cento, l’investimento meno del trenta per cento. Un bilancio come l’attuale non è utile a creare una reale cornice di sicurezza. In ogni caso, non vi sono segnali di una reale intenzione di aumento del budget Difesa come avvenuto, ad esempio, in Germania».                                         ©

Marco Battistone

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Da sempre appassionato di temi finanziari, per Il Bollettino mi occupo principalmente del settore bancario e di esteri. Curo una rubrica video settimanale in cui tratto temi finanziari in formato "pop".