giovedì, 17 Ottobre 2024

Il “boom” dei certificates e quel legame con ETF e bond

Sommario
certificates

Quello degli strumenti derivati è uno scenario complesso. Già ampiamente sdoganati in Europa, dove prendono piede sempre più velocemente, in Italia sono ancora in uno stadio precedente: tradizionalmente, sono guardati con diffidenza da istituzioni e, soprattutto, dal regolatore. Eppure, il cambio di percezione è evidente anche qui.

Nel 2023, anche nelle reti di consulenza, si è assistito a un boom dei certificates, prodotti cartolarizzati che replicano l’andamento di un sottostante, spesso a leva. Una tendenza che può essere letta in chiave di democratizzazione. «Oggi l’avanzamento tecnologico consente di ampliare la gamma di scelta», dice Christophe Grosset, European Sales Director di Spectrum Markets, una delle principali trading venue europee di negoziazione per questo tipo di prodotti. «Ancora fino a poco tempo fa, gli investimenti prevedevano un dualismo tra l’accesso a prodotti non necessariamente calzanti al cliente e un wealth management super-personalizzato. Ma ora le cose sono cambiate. La conseguenza è uno sviluppo della parte di esecuzione diretta, execution-only, magari aiutato da strumenti di intelligenza artificiale o di advisory digitale, che fanno da ottimizzatori per accompagnare le decisioni del cliente».

Ma questo tipo di strumenti è adatto a un investitore italiano, che è tra i meno educati finanziariamente d’Europa?

«Sono certamente soluzioni di investimento avanzate, non vado a mettere in discussione quanto dice la MIFID (Markets in Financial Instruments Directive, direttiva della Commissione Europea 39 del 2004, ndr), ma credo siamo arrivati a un punto tale per cui tutti possano accedervi, con le giuste tutele e i giusti accompagnamenti».

Christophe Grosset, European Sales Director di Spectrum Markets

Quali sono le macrotendenze che osserva nell’ultimo periodo, a livello di asset class?

«Il tema, a livello di masse, lo vediamo già dall’anno scorso. C’è una prosecuzione del ribasso di quelle gestite attivamente, mentre si assiste a uno sviluppo della parte che si chiama coamministrato, dove c’è stata più consulenza. Da una parte, i titoli di Stato, il cui successo non è sfuggito a nessuno, ma gli altri due pilastri che si sono sviluppati l’anno scorso sono stati, da un lato i certificati, che se guardiamo ai dati Assoreti è il secondo asset che si è sviluppato; poi gli ETF. Queste sono le tre gambe che hanno portato evoluzione e sulle quali c’è stata una crescita: obbligazioni, certificati ed ETF».

Quali circostanze spiegano la crescita contemporanea di queste asset class?

«Il successo di ciascuna categoria è causato da motivi diversi: le obbligazioni sono state trainate principalmente dall’emissione di nuovi titoli di Stato a tassi più generosi. Gli ETF, invece, stanno continuando a crescere in rapporto con il mondo del gestito, anche se in realtà questo non è da vedere come un confronto, ma più come una giusta ripartizione. Come stavamo dicendo, negli Stati Uniti le masse in gestione cosiddetta passiva stanno superando quelle attive, al momento siamo su una sorta di 50/50, mentre in Europa siamo intorno a un 27% di passivo e 73% di attivo, ma c’è comunque questa tendenza».

E per i certificates?

«Certamente sono oggetto di attenzione da parte del trading, in quanto soluzione più tutelata per investire a leva, ma anche da parte del mondo degli investimenti, in cui servono strumenti che consentano di fare consulenza. In Italia, hanno delle grandi potenzialità, perché vanno a completare la capacità che può avere un investitore o un consulente di variare i rischi. Per prima cosa, in virtù del prodotto stesso, che va a combinare questa soluzione ibrida tra la produzione dei rendimenti – perché sono maggiori – e la tutela. In secondo luogo, perché, specialmente nell’utilizzo in consulenza, sono strumenti che consentono di essere versatili e seguire i trend. Questo si inquadra nella direzione dell’industria finanziaria verso un’evoluzione dei modelli e un’ottimizzazione del contatto con il cliente».

Come si posiziona il nostro Paese in questo trend di crescita del passive income?

«L’Italia in questo è specificamente sotto le luci della ribalta, in quanto il Mercato locale è molto ben visto. Quello che abbiamo potuto osservare – da piazza paneuropea, concepita investitori individuali e che si rivolge anche a team di banche e operatori istituzionali – è che l’anno scorso in Germania c’è stata chiaramente l’esplosione dell’utilizzo di ETF da parte dell’investitore individuale, su tutto lo spettro delle possibilità offerte. Ora, un Mercato nuovo che sembra destinato a seguire una simile evoluzione è l’Italia. Anche gli emittenti stanno puntando molto su questa trasformazione, stimolata anche dalla presenza di investitori più giovani che hanno iniziato a investire, prima sul BTP e dopo sull’ETF. È una tendenza comunque positiva, che porta con sé una spinta verso soluzioni più semplici ed educative».

Cosa si può fare per incoraggiare questo sviluppo?

«Noi in Spectrum osserviamo da vicino tutte queste dinamiche e ci interfacciamo con i nostri interlocutori per cercare di portare le soluzioni più innovative e all’avanguardia. Riteniamo che, in fatto di prodotto, il mercato degli ETF dimostri già una buona fluidità, ma pensiamo si possa fare meglio sulla parte di architettura e di accessibilità. In questo senso, stiamo lavorando per garantire una maggiore flessibilità nell’accesso al prodotto, dando anche degli strumenti agli intermediari nuovi, per essere effettivamente più competitivi. C’è infatti una ricerca di un servizio che risponda più puntualmente ai bisogni dei singoli investitori, e questa tendenza si estende quindi anche ai portafogli, in generale: ci si sta orientando per avere una maggiore consulenza. E l’ETF è uno strumento su cui si può fare consulenza».

Come si caratterizza il nuovo tipo di investimenti verso cui il Mercato si sta muovendo?

«Il progresso di cui dicevamo necessita di soluzioni sempre più fluide. Noi con Spectrum siamo molto ben posizionati su quello, perché abbiamo fatto proprio questa riflessione, adattandoci alle esigenze del cliente. Credo che il nostro punto di forza sia l’aver portato questa discontinuity sul mondo dell’investimento a leva, al punto che oggi siamo la terza piazza paneuropea su questi strumenti. Quello che ora cerchiamo di fare è lavorare sulle altre categorie di prodotti per andare a portare la stessa discontinuità.

I modelli del futuro saranno quello di execution diretta da un lato e dall’altro nuovi paradigmi, che potrebbero essere anche ibridi con soluzioni di consulenza più “tradizionali”. Noi siamo qua per costruire una struttura che renda possibile questo, nel nostro pezzettino della filiera, perché ovviamente la catena per dare valore al cliente parte dal provider, passa dall’intermediario, arriva alla piazza di Mercato e poi arriva al distributore e al consulente. Ogni parte deve essere ottimizzata, secondo i costi che l’investitore vuole sostenere. E forse è più disposto a pagare per consulenze personalizzate che per un prodotto che potrebbe benissimo comprarsi direttamente. Queste sono un po’ le suggestioni che stiamo vivendo nell’ultimo periodo e di cui si è sentito parlare anche nell’ultimo Salone del Risparmio».

Nel quadro che abbiamo descritto la crescita dei titoli di Stato, strumenti semplici, familiari a tutti e generalmente sicuri, si accompagna con l’ondata di interesse per prodotti decisamente più complessi. Parlo degli ETF, ma soprattutto di un prodotto cartolarizzato come i certificates. Viene da chiedersi quale sia il profilo di rischio di un prodotto del genere, al momento. Restano riservati a un investitore più evoluto?

«Sì e no. Certo, il certificato è uno strumento innovativo ed effettivamente avanzato, quello non si può negare. Però, se vogliamo fare un parallelo con quello che sta succedendo nell’industria delle automobili, una macchina degli anni ’90 e una di oggi non stanno necessariamente utilizzando la stessa tecnologia. Rispetto alla prima Fiat Panda, quella che guidiamo adesso è sicuramente molto più tecnologica, e mi fa spostare in un modo più efficiente, comodo e sostenibile.

Allo stesso modo, questa complessità nell’elaborazione del prodotto e questa spinta dell’industria finanziaria per mettere in piedi soluzioni sempre più innovative e complesse ha una conseguenza reale sul piano dell’investitore finale. Si concretizza in una maggiore semplificazione, in nuove possibilità di investimento che prima non erano aperte con strumenti basilari. Su quello, so che è una posizione relativamente forte, ma credo che l’innovazione finanziaria debba essere a disposizione di tutti. Questo è uno dei pilastri che ci siamo dati nel nostro lavoro con Spectrum: la possibilità di accedere a investimenti innovativi non deve essere riservata a un’élite o a una fascia di clientela specifica.

Naturalmente, questo accesso deve essere tutelato. E così come l’evoluzione tecnologica e l’ottimizzazione, anche questa tutela deve estendersi lungo tutta la catena dell’industria finanziaria. Noi, per esempio, siamo regolamentati dall’autorità tedesca, la BaFin, e manteniamo gli stessi standard e gli stessi livelli di accessibilità in tutti i Paesi europei in cui operiamo, indipendentemente dal fatto che il cliente sia un broker o un private banker, per esempio. Questa apertura deve essere la base».

In pratica, si configura un trend generale di abbassamento del profilo di competenza finanziaria dell’utente, pur mantenendo le giuste tutele?

«Abbassamento no, nel senso che se prima c’era magari un solo strumento che doveva andare bene a tutti, ora ne abbiamo molti di più. Il vantaggio, è che questa personalizzazione evita di escludere dei segmenti di clientela. Se io sono già in grado di fare trading, di scegliere le mie soluzioni di investimento autonomamente, lo potrò fare più facilmente. Se invece ho bisogno di supporto, magari lo pagherò, però adesso con questo supporto non sono limitato ai titoli di Stato, ma posso pensare anche a un portafoglio composto in parte anche da strumenti più complessi, ma di cui posso arrivare a capire il funzionamento. Dunque, la grossa differenza è che adesso entriamo in una maggiore segmentazione dei bisogni dell’investitore, in base alle sue aspirazioni e ai suoi obiettivi di investimento. Questo lo abbiamo raccontato per tanti anni, oggi credo che lo stiamo realizzando».

Quali sono i mezzi a disposizione dell’investitore retail per avvicinarsi a strumenti come i certificates?

«In quanto piazza di negoziazione, il nostro impegno è garantire anzitutto la trasparenza, cioè che il prezzo sia uguale per tutti, il che non è del tutto scontato. Poi la liquidità, per poter portare avanti negoziazioni sempre e comunque. Infine, garantire dei prezzi contenuti, che è un’esigenza che ci viene dai clienti. Questi tre sono i pilastri che si vanno ad applicare a tutto il lavoro. Dopodiché, l’approccio varia a seconda del tipo di operatività.

Per quanto riguarda i modelli, il primo è quello dell’esecuzione diretta, dove il nostro ruolo è preponderante, in quanto piazza. Quando invece si va verso maggiore consulenza, il grosso del lavoro lo devono fare intermediari e consulenti. Su quel fronte, noi possiamo solo essere a supporto di un universo che ci compete un po’ meno. Però vediamo che l’Italia presenta un’industria della consulenza relativamente dinamica, che ha tutte le carte in regola non solo per operare a livello nazionale, ma anche per esportare in Europa».

Quello dei certificates è un universo piuttosto variegato, ne esistono moltissimi tipi. Vista e considerata la segmentazione delle esigenze dell’investitore di cui si parlava prima, quali categorie vede più sulla cresta dell’onda?

«La struttura del certificato consente di attuare tante strategie diverse: per il trader rappresenta la soluzione migliore per investire a leva, perché offre tutte le tutele necessarie. Sul mondo dell’investimento, invece, adesso le tendenze sono fondamentalmente due: di avere strumenti a capitale condizionatamente protetto o semplicemente protetto. In realtà, questi strumenti sono estremamente simili, perché puntano a investire con un rendimento tendenzialmente importante, ma con una maggiore protezione dal rischio rispetto a un investimento a leva. L’equilibrio tra questi due si trova nel corso del tempo in base al sentimento del momento. Questo può andare a variare, ma il comune denominatore è la diffusione di strumenti che combinano rendimenti e protezione, entrambi con una certa variazione a seconda delle condizioni di Mercato».

Questa varietà si esplica anche a livello di settori?

«Sì, questi prodotti offrono la possibilità di stare sempre nelle tematiche del momento, a una velocità inaudita. Al momento, siamo in grado di mettere un nuovo prodotto a disposizione del trading in una ventina di minuti. Per un investimento con un orizzonte di più lungo termine magari ci si impiega mezza giornata o una giornata intera, ma si tratta comunque di tempi molto rapidi».

Questo ha ripercussioni anche sull’estensione della gamma di opzioni offerte dai certificates?

«È un elemento importante da sottolineare: adesso che il numero di operazioni si è moltiplicato, si va a moltiplicare anche il numero delle emissioni, perché devono combaciare con esigenze specifiche. Questa è una peculiarità fondamentale: il mondo dei certificati non ha limiti nella sua estensione. E se guardiamo al numero attuale di strumenti in Italia, crediamo che ci sia margine per averne molti di più. Attualmente sono circa 20mila, contro 2 milioni in Germania. Dal momento che su questo aspetto siamo ben posizionati per agire, questo dato significa che possiamo e dobbiamo fare molto di più».

La versatilità è la chiave?

«Certo. E non solo a livello di tendenze di Mercato, ma di ciascun investitore. Forse è un po’ un’iperbole, ma quello è l’obiettivo ideale a cui tendere».

Mi verrebbe da pensare che, con l’aiuto dell’Intelligenza Artificiale e l’arrivo dell’iper-personalizzazione, fino ad arrivare a un modello taylor-made, sartoriale, questa eventualità possa non essere neanche così surreale…

«Queste sono tendenze che vediamo nell’industria. Nel mondo del trading, non credo siamo troppo lontani dal vedere l’emissione on-demand di strumenti. Nel mondo degli investimenti, un servizio di questo genere è ancora riservato ai capitali più importanti, ma credo sia una tendenza che sta già concretizzandosi».

Il boom dei certificates dell’ultimo periodo ha avuto soprattutto ripercussioni sul Mercato primario, con una raccolta che è nell’ordine dei miliardi nelle sole reti di consulenza. In compenso, sono due anni di deflusso netto dal Mercato secondario. Come si spiega questo sfasamento?

«Il primario in effetti ha visto una specie di exploit l’anno scorso, perché sono aumentati tanto, non lontano da 30 miliardi di nuove emissioni. È stato sicuramente un anno molto positivo, ma perché sono stati i primi strumenti a poter offrire un’alternativa. Ebbene, un primario diventa per forza un secondario in un certo momento, perché sono strumenti illiquidi, e per questa tipologia di strumenti vedremo sicuramente svilupparsi anche il secondario quest’anno o all’inizio dell’anno prossimo, quando il cliente deciderà che è il momento opportuno per vendere. La rotation è più o meno a diciotto mesi, il che è rimasto pressoché invariato. D’altronde, sulla parte di execution only, il numero di attori è sempre in crescita, per cui lì i volumi non sono così in ribasso. L’elemento che possiamo sottolineare è che in Italia abbiamo dei player di grande expertise che noi proveremo ad accompagnare all’estero, perché lo sanno fare».

Crede che l’ampliamento della platea delle piazze a disposizione dell’investitore porti dei benefici?

«Certamente. Credo che per un investitore sia giusto e siamo contenti di portare concorrenza in questo ambito con la nostra realtà. Per il Mercato, questo credo sia un grosso vantaggio. In questo momento, abbiamo quattro Mercati che offrono certificati, mentre prima ne avevamo solo uno».                ©

Articolo tratto dal numero dell’1 giugno 2024 de il Bollettino. Abbonati!

📸 Credits: Canva

Da sempre appassionato di temi finanziari, per Il Bollettino mi occupo principalmente del settore bancario e di esteri. Curo una rubrica video settimanale in cui tratto temi finanziari in formato "pop".