mercoledì, 16 Ottobre 2024

Periferie, investire in cultura contro il degrado

Sommario
cultura

Con la cultura non si mangia, diceva un ex ministro dell’Economia. Una frase che tradisce un errore di valutazione del peso di questo settore sull’economia italiana. Storia, arte, architettura, letteratura, pittura, musica, moda, filosofia, musei, religione, folklore, gastronomia e sport rappresentano un vero e proprio tesoretto per l’Italia, spesso dimenticato. Parliamo di una filiera in cui operano soggetti privati, pubblici e del terzo settore che, direttamente e indirettamente, nel 2022 ha generato un valore aggiunto di 95,5 miliardi di euro, +6,8% rispetto all’anno precedente e +4,4% rispetto al 2019 (Io sono cultura 2023, Fondazione Symbola e Unioncamere). Tanto più che ogni euro prodotto dalle attività culturali e creative produce 1,8 euro in settori economici diversi., per un valore in turismo, trasporti e Made in Italy che nel 2022 è pari a 176,4 miliardi di euro. Se nel calcolo aggiungiamo anche il mondo dell’arte, otteniamo 271,9 miliardi di euro, il 15,9% del PIL.

«Con la Cultura si mangia e si crea economia, quella sana e virtuosa. Pensiamo ad ogni singolo evento, piccolo o grande che sia, a quanto indotto possa produrre: visite, stimoli intellettuali, conoscenza, apertura mentale, confronto; e poi alberghi, ristorazione, lavoro. Per ogni evento si assumono giovani, si redistribuisce ricchezza, gira l’economia di un luogo. E poi ancora ogni evento genera inevitabilmente quel sano desiderio di apprendere e imparare sempre più in modo da far risvegliare in ognuno di noi quell’Ulisse assetato e desideroso di canoscenza, per dirla con il Sommo Poeta», dice Giovanni Raso, artista e autore del libro Ritratti milanesi. Storie, personaggi e luoghi della città meneghina, edito da Editrice Domenicana Italiana.

Il valore della cultura oltre i numeri

Ma i numeri non mostrano tutto. Infatti, i benefici della cultura si riflettono in diversi campi, dall’innovazione al benessere individuale e collettivo all’innovazione, passando per l’inclusione e la coesione sociale. L’ultima frontiera è quella della riqualificazione delle periferie di grandi città, diventate ormai vere e proprie cattedrali nel deserto, luoghi pieni di edifici poco vivibili e accattivanti dal punti di vista architettonico. Spesso mancano centri di aggregazione come piazze, chiese, scuole e parchi. Per non parlare poi dei servizi basilari, come bar, negozi e farmacie, bar. Un trend che è andato di pari passo con l’aumento della domanda e, soprattutto, del costo degli alloggi. Sono molti i quartieri privi di una dimensione sociale, abitati da studenti e lavoratori che non possono permettersi un affitto nelle vicine capitali. Il passo successivo è diventare ghetti, dove dilaga la criminalità.

La cultura, ridando dignità a queste aree, può essere un antidoto efficace al degrado, grazie a investimenti da parte delle istituzioni locali e nazionali?

«Bisognerebbe portare un po’ di centro in periferia. Come? Promuovendo altre iniziative culturali sul territorio, mostre, incontri, concerti». Negli ultimi anni gli artisti di diversi grandi centri, come Roma, Milano, Napoli e Firenze stanno cercando di riempire i “vuoti urbani” con l’arte di strada, intesa come esperienza sociale oltre che estetica. Le vecchie fabbriche e mostri architettonici che sorgono come funghi negli ex quartieri operai e popolari diventano così nuovi spazi di aggregazione.

Milano è spesso descritta come la capitale industriale dell’Italia, ma è anche un luogo di incontro tra cultura e storia. Quanto di questo troviamo nella città di oggi?

«Come molte città italiane, Milano è pregna di storia. Basta cercarla ed essa affiora in ogni luogo, forse anche in quelli più nascosti e fuori dal circuito turistico. Oggi la città meneghina vive a mio avviso una stagione di stagnazione, una sorta di assuefazione, come se si fosse adagiata sul proprio passato, pur guardando costantemente al futuro. Molti giovani (e spero siano la minoranza) accostano la città solo alla possibilità di poter fare un aperitivo, divertirsi, svagarsi. Non è così. Milano ha un substrato culturale unico che può continuare a svilupparsi, se non decide di imboccare la strada del mero consumo di cultura. Il fermento culturale c’è (e si nota), ma spesso viene scambiata per cultura una mera innovazione fine a se stessa, che di fatto non arreca alcun beneficio sociale o, appunto, culturale».

Quanto è importante riscoprire e tramandare la storia dimenticata delle nostre città?

«Credo debba essere un imperativo categorico per tutti noi. Sembra banale come frase, ma scoprire il passato per costruire il futuro credo sia il giusto equilibrio, la stella polare per poter determinare le scelte politiche e sociali del nostro Paese. Scoprire il passato, cioè capire le nostre origini, per costruire il futuro vivendo nel presente, fanno parte della medesima traiettoria civile, morale e culturale a cui dobbiamo attenerci per non ripetere gli errori di ieri e riproporre alle nuove generazioni, sotto nuova luce, la grandezza di un tempo. Compito di sicuro non facile, ma possibile».

Milano

La storia di Giovanni Testori, scrittore di Novate Milanese, è strettamente collegata alla periferia di Milano. Uno spazio che Testori disegna come un luogo di solitudine, abitato da miserabili, di cui nessuno si cura, mentre la città si prepara a vivere un boom economico. Quanto è cambiato oggi e quanto, invece, resta di quella dimensione?

«Ovvio che ogni epoca storica ha le sue ansie, i desideri, le delusioni e le illusioni, oggi come allora. La periferia di Milano purtroppo vive ancora quella solitudine ed emarginazione urbanistica, malgrado i numerosi mezzi di trasporto la abbiano oramai avvicinata al centro cittadino. È fuori città che vive il vero milanese, non certo nel centro, oggi diventato purtroppo una bellissima vetrina, inaccessibile economicamente al ceto medio. Le luci di Natale, Brera, via Monte Napoleone, piazza San Babila, la Galleria, tutto bellissimo, è vero; ma a lungo andare questa sfavillante bellezza viene vissuta come uno snervante “supplizio di Tantalo” dove si tocca il Cielo con un dito e poi… di sera si ritorna nella buia e desolante periferia».

Mi ha colpito la storia di Carlo Emilio Gadda, che ha visto la sua vita stravolta dalla Guerra Mondiale. Mi ha fatto pensare a uno dei dilemmi che affrontano i giovani oggi: scegliere la professione che piace o quella che assicura un’occupazione sicura. Cosa ne pensa?

«Purtroppo molte nostre scelte in ambito lavorativo sono di fatto obbligate, anche quando non vogliamo ammetterlo a noi stessi. Nel lavoro spesso ci si trova, non sempre lo si sceglie. È la vita stessa che ci indirizza su questo o quel settore, malgrado le nostre scelte siano necessarie per darne un indirizzo specifico. Non sempre ciò che piace dà la giusta gratificazione economica; ed è per questo che molti “scelgono” di fare un lavoro che non soddisfa in toto le proprie aspettative e i desideri pur di avere una retribuzione fissa su cui poter contare». ©

Articolo tratto dal numero del 1 ottobre 2024 de il Bollettino. Abbonati!

Il mio motto è "Scribo ergo sum". Laureato in "Mediazione Linguistica e Interculturale" ed "Editoria e Scrittura" presso La Sapienza, mi sono specializzato in giornalismo d’inchiesta, culturale e scientifico. Per il Bollettino mi occupo di energia e innovazione, i miei cavalli di battaglia, ma scrivo anche di Mercati, spazio e crypto.