sabato, 19 Aprile 2025

Galli, ex difensore: «Il sistema dovrebbe affrontare i temi legati all’istruzione e alla formazione»

Sommario
Filippo Galli

Il calcio in Italia sta vivendo una situazione di forte stallo. Se da un lato ci sono molti club di Serie A che affrontano gravi difficoltà dal punto di vista economico, dall’altro, la Nazionale italiana non partecipa ai Mondiali di calcio da ormai oltre 10 anni. L’ultimo match disputato è stato il 24 giugno 2014 contro l’Uruguay. La causa principale? Difficile trovarne solo una. Il valore totale dei giocatori tesserati in Serie A è di 4,95 miliardi di euro, in Premier League quasi 12 miliardi (fonte: Transfermarkt). Una conseguenza diretta della crisi finanziaria del nostro calcio, visto come base di partenza e non come punto d’arrivo dai grandi atleti.

Ma non è solo questo. Sempre più tifosi e appassionati si lamentano della mancanza di talenti italiani giovani da lanciare e del poco coraggio di club e allenatori nel facilitare il passaggio dalle giovanili alle prime squadre. Tanto che la Serie A è il secondo campionato al mondo per numero di stranieri: solamente il 44% dei tesserati nelle rose sono italiani. Una possibile svolta potrebbe essere rappresentata dalle seconde squadre, che vedono nella Juventus Next Gen, nel Milan Futuro e nell’Atalanta U23 un’opportunità per dare modo ai giovanissimi di mettersi alla prova nel campionato di Lega Pro.

stadio

Il club bianconero, a fronte di una spesa a bilancio di 9 milioni di euro, ha già generato quasi 80 milioni di euro di introiti dalla cessione di alcuni talenti sbocciati. Il Milan Futuro sta facendo giocare con continuità alcuni dei suoi gioielli, tra cui il giovanissimo Francesco Camarda, che a soli 16 anni avrebbe già un valore di Mercato di 10 milioni di euro. Ma basterà tutto questo per dare nuova linfa al calcio italiano?

«È un argomento complesso. I problemi sono molteplici, parlando in un’ottica multidisciplinare. C’è un tema legato al fatto che in Italia si faccia fatica a dare spazio ai giovani calciatori nelle squadre di club, rendendo così complicato trovare giocatori eleggibili per la Nazionale maggiore. Dall’altra parte, ci sono i club che ritengono che i giocatori giovani italiani non siano pronti per affrontare la Serie A. Di conseguenza, non ci sono debutti e non c’è l’utilizzo di talenti con continuità» dice Filippo Galli, ex difensore milanista e dirigente sportivo, autore del blog La Complessità del Calcio.

Le parole di Filippo Galli

Filippo Galli

«Valgono tutte e due le interpretazioni. Quella che secondo me si dovrebbe fare è provare a ragionare come sistema, sedersi a un tavolo e affrontare temi legati all’apprendimento, alla formazione dei nuovi giocatori e da lì trovare delle linee comuni che mettano d’accordo tutti e permettano di arrivare a un progetto, un metodo di lavoro condiviso in grado di favorire l’impiego dei ragazzi nelle nostre squadre, così da inserirli poi nella Nazionale».

Ha chiamato il suo ultimo libro Il mio calcio eretico. Perché questo titolo?

«Sta a significare che, molto spesso, negli ambienti del calcio e del calcio giovanile si ha la tendenza ad aver paura del cambiamento e dell’innovazione, intesa come idea di apprendimento. Si preferisce piuttosto rimanere legati a teorie dell’apprendimento che sono ormai datate, quando ci sono molte altre filosofie che sono state teorizzate, ma non trovano applicazione» dice Filippo Galli, che continua: «In generale, facciamo fatica a innovare, l’idea è che la competenza sia qualcosa di cristallizzato. Soprattutto noi ex calciatori pensiamo di non dover approfondire, di non doverci aggiornare. Capita spesso che si rimanga ancorati al concetto del “facciamo così perché si è sempre fatto così”. Magari uno ha imparato in un modo e dunque prosegue su quella strada. Non c’è niente di più sbagliato. Ormai ci sono studi, esperienze pratiche che dimostrano, per esempio, come l’apprendimento migliore nel mondo del calcio sia in gioco».

In un passaggio interessante, affronta le difficoltà di approdo dalle giovanili al professionismo. In cosa consistono?

«Non è un passaggio semplice. Lamine Yamal, per esempio, è certamente riuscito a trovare spazio e a dare continuità al suo impiego per le sue qualità, ma anche per un contesto che gli ha permesso di esprimere il suo talento, di educarlo e tirarlo fuori. L’idea di base è che comunque il talento non basti da solo, ha bisogno di un contesto che lo aiuti a formarsi e a dare il meglio di sé» spiega Filippo Galli, che prosegue: «Evidentemente, il Barcellona è anche questo oggi: c’è fiducia nel giovane, si lavora in maniera sistemica e all’interno del club si punta su un giocatore perché ha talento ma anche perché ha alle sue spalle un lavoro di formazione. Spesso si dice che, se il talento c’è, si manifesterà. Ma spesso c’è bisogno di un processo di crescita che deve avere determinati criteri».

L’aspetto mentale dei giocatori

calcio giovanile

Che impatto ha l’aspetto mentale sui giocatori?

«A me non piace suddividere tra aspetto mentale, atletico e tecnico. Va tutto insieme. Nel momento in cui pensiamo di formare un giocatore, dobbiamo avere un approccio sistemico. Non penso che il giocatore abbia necessariamente bisogno di avere un rinforzo psicologico al di fuori del campo. Va allenato, seguito, accompagnato con attenzione, ma sempre all’interno del gioco. Non c’è bisogno di sedute dallo psicologo per acquisire una mentalità, una struttura tale da supportare le pressioni.

Adesso diciamo che un ragazzino è fortunato, quando a 14 anni si trova a giocare nel contesto giovanile di una grande squadra. Ma in realtà già a quell’età deve sopportare delle richieste emotive che sono complesse anche per un adulto» dice Filippo Galli, che continua: «L’aspetto mentale è comunque uno dei punti su cui ci sono più spazi di miglioramento, però non lo ridurrei a qualcosa di asettico e separato da tutto il resto. L’atleta va allenato in tutta la sua pienezza, in tutto il suo essere».

Quale ruolo possono e devono avere i genitori dei ragazzi?

«Tutte le figure in qualche modo coinvolte nel processo di formazione sono fondamentali. Dagli allenatori ai preparatori atletici, passando per i responsabili del settore giovanile, gli amici, i compagni di squadra e appunto i genitori. Tutti quelli che fanno parte di quel microcosmo che gira intorno al giocatore sono in qualche modo responsabili. Quindi sta anche al giocatore di saper comprendere piano piano su quali persone appoggiarsi, da chi farsi aiutare. Ed è per questo che tutte le squadre professionistiche si dovrebbero dotare di un’area pedagogica che supporti il ragazzo. Ma con figure professionali che conoscano il calcio. Non deve essere un’area che si occupa di sola psicologia, ma che deve comprendere esattamente quali sono le richieste di un giovane atleta».

In questo quadro, dove si collocano i procuratori?

Filippo Galli

«Sono a loro volta importanti. È una di quelle figure che volente o nolente fa parte del percorso di formazione di un giocatore. Può avere un impatto positivo o negativo, come lo può avere un genitore, un allenatore e qualsiasi professionalità che entra in contatto con il ragazzo. Questo può determinare una traiettoria in senso positivo o negativo» racconta Filippo Galli, che precisa: «Credo che ormai tutti abbiano un agente, perché vengono avvicinati già prima dei 14 anni addirittura. Dobbiamo lavorare con loro, sensibilizzarli su questo tema, senza andare muro contro muro».

Le seconde squadre dei club di Serie A

Cosa ne pensa delle seconde squadre dei club di Serie A?

«Nel mio mondo ideale le seconde squadre non sarebbero necessarie. Se si facesse un lavoro di un certo tipo nel settore giovanile, se ci fosse anche nelle prime squadre un’apertura maggiore, questo farebbe sì che i ragazzi di 16-17 anni, come avviene all’estero, possano venire ritenuti pronti per la prima squadra. Così però non è nel nostro sistema calcio, e quindi dico che le seconde squadre oggi sono strategiche, sono importanti per completare il percorso di formazione dei ragazzi e riempire quel gap che c’è tra settore giovanile e prima squadra».

Filippo Galli

Anche qui, i risultati contano?

«La Serie C è un campionato difficile, che mette alla prova i giovani di fronte ad avversari spesso decisamente più esperti. Il risultato conta sempre, ma occorre far capire ai ragazzi come sia importante raggiungerlo attraverso il merito. Sappiamo poi che a volte le squadre, soprattutto in competizioni di questo tipo, raggiungono risultati non per merito ma solo perché c’è più esperienza, c’è più pragmatismo e così via. Però è un momento di formazione importante: ho visto un paio di partite dal vivo e i giovani iniziano ad avere a che fare con atleti con più esperienza, che li provocano. Poi è chiaro che tutti vorremmo che il Milan Futuro fosse in una posizione di classifica diversa: dovrà migliorarla. Credo sia importante, anche dal punto di vista mentale, in termini di determinazione».

Prendendo in considerazione i bilanci in difficoltà delle prime squadre italiane, può essere opportuno investire maggiormente sulle giovanili per avere un ritorno economico?

«La logica porta lì, o meglio la logica finanziaria porterebbe lì. Investo a basso costo nel settore giovanile e ne traggo profitto. Generalmente un giovane che arriva in prima squadra ha un contratto più modesto rispetto a chi arriva dal Mercato. Questo dovrebbe portare le società a investire sul territorio e sulle strutture. Si fa già così, in parte, però senza la necessaria convinzione. Si preferisce andare sul player trading, quindi favorire l’arrivo di calciatori anche giovani ma da altre realtà. Poi vediamo che nessuna delle società italiane, a parte qualcuna, ha un’attività sostenibile» spiega Filippo Galli, che precisa: «Il perché è chiaro: i costi superano i ricavi. Servirebbe un’inversione di tendenza per arrivare ad avere una società sostenibile e che possa puntare su questi giovani in maniera decisa».

Pensa ci sia una via per riportare la Serie A ai fasti degli anni ’90?

Filippo Galli

«Non lo so, è difficile dirlo. Perché un tempo non c’era il tema della sostenibilità finanziaria. Si spendeva molto e i bilanci erano spesso in negativo, ma venivano ripianati dai presidenti magnati. Un esempio evidente è proprio il caso del Milan dalla Fininvest, ma ce n’è altri. Oggi c’è molta più attenzione, tutto questo non è più possibile. Ci sono fondi che devono rispondere agli investitori, così come le proprietà. Tolto questo, ciò che si potrebbe fare è abbellire il nostro prodotto, perché il nostro servizio calcio non ha più appeal. Oggi all’estero va molto di più la Premier League.

Penso anche al tema dei diritti televisivi: sembra si sia arrivati ad un limite e non si possa andare oltre. È difficile trovare nuove voci di ricavo. Non vedo una soluzione a breve termine. Ma forse guardando più avanti è possibile sperare, in fondo il calcio ci ha insegnato che è ciclico». ©

📸Credits: Canva e AC Milan

Articolo tratto dal numero del 1° dicembre 2024 de il Bollettino. Abbonati!

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