giovedì, 17 Ottobre 2024

Calano i fondi nella legge di bilancio: cultura a rischio

Sommario

Come si prepara uno spettacolo musicale? Bisogna immaginare il lavoro che c’è dietro la scrittura di un libro. Ci sono idee da trovare per una pagina da riempire di contenuti. Ma anche fondi da scovare perché scrivere, così come pensare a un progetto da portare in scena, comporta mesi di lavoro, che va retribuito. «Le difficoltà non mancano, specie sotto l’aspetto finanziario» dice Cinzia Tedesco, laureata a pieni voti in Informatica prestata alla musica. Cantante e direttrice artistica dello spettacolo Cinzia Tedesco Quartet & Orchestra femminile del Mediterraneo, ricorda che «il fatto di essere una donna, anche in questo campo, non aiuta».

Come si fa a costruire uno spettacolo simile dal punto di vista economico?

«Andando nel concreto. Ciò vuol dire muovere una macchina che ha costi importanti, ma sulla cui redditività non si può contare anche considerando la crisi economica che vivono le famiglie, che non sempre possono permettersi di sostenere le spese per andare a vedere insieme uno spettacolo culturale».

Come funzionano i pagamenti in questi casi? Si fa tutto in anticipo?

«Nel mio caso quello che investo in prima persona e le risorse fornite dai miei partner sono a titolo del tutto personale nella fase di preparazione. Si tratta di un periodo che può durare anche 3/4 mesi. Tutto tempo che si sottrae ad altre attività. Poi si vanno a recuperare le spese nel momento in cui lo spettacolo si esegue. Il conto economico del progetto è comunque sulle spalle di qualsiasi ente teatro che accetti di inserirlo in programmazione. È la struttura a farsi carico dell’organizzazione e ad assumersi la responsabilità di pagare le performance ai tecnici che le mettono in piedi e agli artisti».

Lei è la manager di tutto lo spettacolo oltre che la protagonista?

«Sì, ma sono a mia volta rappresentata da un’agenzia, che vende il mio progetto e prende la sua percentuale. Una società con cui lavoro da tantissimi anni per cui siamo ormai come soci. Per il resto sono un po’ come la frontman, per cui mi accollo ogni rischio e chi lavora con me sa che non perderà nulla sul piano economico».

È difficile contabilizzare il lavoro artistico?

«Sì perché c’è tutta una parte di ideazione e messa a punto che non viene retribuita né valutata da nessuno. Sta tutto nell’artista e nelle sue capacità di vendita. Il nome che ci si è fatti conta parecchio a livello di credibilità e per assicurarsi le vendite. Ma è chiaro che la sicurezza di un reddito, se non si hanno patrimoni familiari, non si ha. Per questo molti cercano cattedre nei Conservatori o in generale si dedicano all’insegnamento, anche per sostenere gli sforzi produttivi».

Il budget per una rappresentazione di questo tipo a quanto ammonta?

«A spanne, potremmo ipotizzare una cifra di circa 40mila euro. Il conteggio deve partire dal presupposto che a essere coinvolte sono maestranze di ogni tipo. Si va dai tecnici del suono, agli allestitori di spazi concertistici, agli uffici stampa e organizzatori della comunicazione attraverso cui promuovere l’evento. Ci sono tante professionalità che lavorano intorno all’iniziativa, ognuna delle quali va retribuita».

Con la sola biglietteria però è possibile sostenersi?

«È molto complicato. Un modo per rientrare nei costi dello spettacolo è ovviamente la tournée teatrale, perché così si moltiplicano i biglietti acquistati esattamente come avviene per le copie dei libri, dei giornali, o per i concerti negli stadi, solo per fare qualche esempio. E qui entra in gioco il nome dell’artista, perché se è forte va da sé che si rientra con più facilità nelle spese e si guadagna. Anche se perfino ai più alti livelli la situazione sta diventando complessa, pensiamo al caso di Kevin Kostner».

Ha presentato a Cannes il suo film Horizon -una saga americana, dichiarando di averlo prodotto da solo e di aver dovuto perfino ipotecare le sue quattro case…

«Questo la dice lunga sul settore culturale, che anche fuori dai nostri confini non naviga nell’oro, neppure nella stessa Hollywood. Se Kostner si produce il film da solo, lo fa perché risparmia innanzi tutto sui costi della regia e degli autori, che fa lui stesso. E poi sugli attori, facendo parte del cast».

L’Italia quanti fondi pubblici riserva alla cultura?

«Le risorse pubbliche sono indispensabili per sostenere l’industria della cultura. Se si guardano le tabelle compare il segno meno ovunque. Per il 2024 la Manovra ha stanziato una dotazione complessiva di 3.670,4 milioni di euro. Parliamo di una percentuale pari allo 0,4% della spesa finale della Finanziaria. Uguale a quella del 2023, ma anche minore rispetto al 2022, quando la previsione era dello 0,5%».

Perché questo svilimento nei confronti della cultura?

«Si tende a pensare da parte dei Governi che la cultura non sia un fattore di crescita economica per un Paese. E che non ci sia un ritorno finanziario. Invece è il contrario. Va messo in luce il valore di quello che si fa. E poi è miope pensare che con la cultura non si mangi. Basta guardare anche al lavoro che si dà alle tante parti tecniche coinvolte, non solo all’artista. Purtroppo però i tagli ai finanziamenti pubblici in questi settori sono costanti».

Qual è la stortura principale in questo settore?

«Una delle cose che trovo più ingiuste in assoluto è quella di come talvolta si assegnano i soldi. Ci sono eventi destinati al grande pubblico a cui sono destinati fondi pubblici che invece potrebbero sovvenzionarsi con la sola biglietteria, e parlo dei casi in cui va in scena un artista famoso. Capisco che ci sono contesti, come possono essere le feste di piazza, in cui è giusto che a godere dell’evento siano tutti, anche chi non potrebbe permettersi il costo del biglietto. Ma allora ci dovrebbe essere una visione e una politica diversa, per cui chi può pagare mette mano al portafogli, per gli altri invece si stanziano fondi pubblici».

Far sì in buona sostanza che i costi della biglietteria ricadano in parte sugli enti pubblici?

«Esatto. Si potrebbe creare una card per chi ha problematiche di tipo economico, e vendendo alle persone più svantaggiate biglietti a un costo irrisorio. Un’altra idea è per esempio portare la cultura e gli spettacoli nelle periferie, dove di bellezza c’è più bisogno. Lo sta facendo il Comune di Roma con l’Orchestra Santa Cecilia».

Ci saranno anche fondi a cui attingere dentro il PNRR?

«Sicuramente, ma non sono dentro i gangli decisionali dove si determinano le spese da fare e non so come stiano utilizzando quei fondi. Quello che posso dire è che talvolta chi prende decisioni non è poi così illuminato».

Essere donna comporta partire da una condizione di svantaggio?

«Inutile stare a ribadirlo. Anche qui, in ambito arte e cultura, le stanze dei bottoni sono presidiate fondamentalmente da uomini, che magari hanno relazioni professionali consolidate con altri uomini e vanno quindi a privilegiare i prodotti culturali gestiti da loro».

Trova difficoltà a proporre il suo spettacolo per il fatto di essere donna?

«La sensazione che ho non è quella dell’ostracismo, ma più che altro che mi si guardi e si pensi: “Ok, puoi arrivare fino a un certo punto, ma non esagerare”. Un misto di ammirazione e di paura, come se non ci si potesse spingere più di tanto in là in quanto donna».

Eppure lei è stata per anni direttore commerciale e marketing di aziende, per esempio Capgemini. Per cui l’esperienza manageriale non Le manca…

«Ho sempre lavorato in contesti fortemente maschili e gestito budget importanti. Oltre al fatto che canto da quando avevo 8 anni, insieme alla band di mio padre. Parto avvantaggiata perché quando gli altri percepiscono che dall’altra parte c’è competenza, la tendenza è a non mettere i piedi in testa. Né a fare proposte indecenti, piaga su cui è stato squarciato un velo grazie ai movimenti di protesta internazionali come il MeToo».

Quello delle avances sessuali sgradite è un peso che devono sopportare per lo più le donne, mette un freno alla loro carriera?

«Sì, anche perché quello che c’è da dire è che non tutte hanno la grinta che ci vuole purtroppo. Magari hanno ottime idee, ma non la forza mentale per supportarle. In questa industria poi si deve anche sopportare spesso di vedersi sorpassati da chi non lo merita, succede più di frequente che in altri ambiti».

Cosa dicono i numeri del settore sull’occupazione femminile?

«Che una su mille ce la fa, sintetizzando. A naso potrei dire che su 1.000 festival di jazz, quelli diretti da donne saranno 3 o 4. Dal primo rapporto annuale dell’Osservatorio per la parità di genere del Ministero della Cultura in riferimento al 2022, emerge che nel jazz italiano – solo per fare un esempio – si contavano solo un 4% di direttrici artistiche, mentre nel mondo europeo del jazz dal 2017 si era avuto un balzo in avanti sino a percentuali del 20-25%. Da studi europei provenienti da EJN, rete di quasi 200 jazz Festival, emergeva che nel 2022 il 32% delle grandi band non aveva nessuna strumentista donna e l’83% aveva la presenza di una cantante. Il 78% dei concerti erano, poi, di soli uomini».

La Sua orchestra è tutta al femminile. In netta controtendenza…

«La presenza di donne tra compositrici, arrangiatrici, direttrici d’orchestra, autrici, sempre secondo questi dati, è veramente molto bassa. Solo il 3% dei brani eseguiti risultavano composti da donne, mentre il 97% da uomini. Quindi sì, posso affermare di andare controcorrente».

C’è tanta strada da fare per le pari opportunità nel mondo della musica?

«La situazione è in miglioramento anche grazie al lavoro fatto dal sindacato dei Musicisti italiani di jazz che ha attivato specifici tavoli dedicati all’equilibrio di genere. Ma bisogna fare di più ampliando, ad esempio, lo spettro degli indicatori, introdotti nel 2022, di premialità nel caso di maggiore presenza di donne anche nei ruoli decisionali per i soggetti possibili beneficiari del FUS (Fondo Unico dello Spettacolo) e di fondi PNRR».

Però la donna rimane sempre sullo sfondo?

«Siamo sempre in ruoli ancillari e mai protagoniste, un’immagine nata in tempi lontani, ma ancora oggi sottostante a molte scelte in tutti i settori, non solo quello musicale. Ecco perché ho scelto di lavorare attivamente all’interno della rete @Inclusione Donna, e di assumere il ruolo di Ambassador per il settore musicale, così da portare sui tavoli istituzionali proposte “tattiche” che accelerino il cambiamento culturale in corso».

Cosa fa l’associazione per combattere il gender gap?

«@Inclusione Donna è una alleanza di realtà femminili e non, fondata a dicembre 2018 che riunisce 66 associazioni e 42 ambassador. Promuove la parità di genere nel mondo del lavoro e della rappresentanza, ispirandosi ai principi democratici fondamentali della nostra Costituzione. È un punto di aggregazione che rappresenta oltre 50mila donne, tra professioniste, manager, imprenditrici, impiegate in diversi settori del mondo lavorativo. L’impegno è per “mettere a terra”, in modo sistemico, linee guida organizzative e strumentali affinché il cambio culturale in merito alla parità di genere possa essere interiorizzato».

Tra i progetti di @Inclusione Donna c’è anche quello della Carta per le pari opportunità?

«La Carta per le pari Opportunità e l’uguaglianza sul lavoro – Italian Diversity Charter – è stata lanciata in Italia nel 2009 sulla scia del successo delle iniziative francese e tedesca. È una dichiarazione di intenti, sottoscritta da imprese di tutte le dimensioni, per la diffusione di una cultura aziendale e di politiche delle risorse umane inclusive, libere da discriminazioni e pregiudizi, capaci di valorizzare i talenti in tutta la loro diversità. Realizzare un ambiente di lavoro che assicuri a tutti pari opportunità e il riconoscimento di potenziale e competenze individuali contribuisce anche alla competitività e al successo dell’impresa».

Adesso è in partenza per il tour internazionale?

«Ho trovato chi crede in questo progetto e ha organizzato i miei concerti in Brasile con il supporto del Ministero affari esteri. Finalmente ci siamo e sono orgogliosa di portare la creatività del jazz italiano in Brasile».                       

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📸 Credits: Canva   

Articolo tratto dal numero del 1° luglio 2024 de il Bollettino. Abbonati!

Giornalista professionista, classe 1981, di Roma. Fin da piccola con la passione per il giornalismo, dopo la laurea in Giurisprudenza e qualche esperienza all’estero ho cominciato a scrivere. All’inizio di cinema e spettacoli, poi di temi economici, legati in particolare al mondo del lavoro. Settore di cui mi occupo principalmente per Il Bollettino.