mercoledì, 16 Ottobre 2024

Battista, Net Insurance: «Assicurazioni: bene Cat-Nat e salute. La Blockchain invece…»

Sommario

Pronte ai blocchi di partenza: dopo la difficile fase di adattamento al nuovo ciclo di politica monetaria, le assicurazioni sono pronte a cogliere le ultime opportunità lanciate dal Mercato. Il 2023 ha visto un prevedibile calo del segmento Vita assicurativo, il peso massimo del settore in Italia, che ha perso il 3,3% della raccolta rispetto all’anno precedente.

Una decrescita cui si accompagna, specularmente, l’ascesa delle polizze Danni, che raggiungono i 38 miliardi di raccolta grazie a un incremento superiore al 6% (Dati IVASS, 2023). In compenso, l’aumento del rischio di liquidità provocato dal maggiore costo del denaro pare essere più che compensato dalla profondità dei fondi propri delle imprese, in grado di coprire 2,6 volte il requisito di solvibilità. Un dato che si conferma nei bilanci, generalmente positivi, del primo semestre 2024.

«Il quadro è complessivamente positivo, sia a breve sia a medio termine», dice Andrea Battista, CEO di Net Insurance, parte del gruppo Poste Italiane. «Ovviamente, le compagnie soffrono di tutte le incertezze radicali di scenario, ma grazie alla diversificazione e resilienza che, bene o male, il business ben gestito esprime, continueranno a ottenere dei buoni risultati».

Quanto alle nuove sfide, oltre al lento progresso dell’Insurtech, la novità dell’anno potrebbero essere le nuove polizze di protezione contro le catastrofi naturali (il cosiddetto Cat-Nat), inserite nella legge di bilancio 2023 e al momento ancora in attesa di decreto attuativo. «Rappresentano un’opportunità interessante. Spesso le compagnie, guardando al dato combined, lamentano l’incidenza degli eventi naturali estremi. Sì, staticamente è così, però non è la visione completa e corretta. Si fanno pagare di più le garanzie perché quei rischi si potrebbero materializzare».

A proposito delle polizze Cat-Nat, potrebbero essere un’opportunità in più?

«Pensiamo che valga la pena di offrirla, ovviamente con tutta la protezione riassicurativa del caso. Dall’altro lato, sembra realizzabile, per chi ha potenziale bancassicurativo, in una forma ‘bancabile’. In altre parole, è presentabile a uno sportello di banca, realizzando un prodotto e una tariffa relativamente standardizzato, totalmente informatizzato e comprensibile a chi lo deve proporre e chi lo deve acquistare. Questa è una grande sfida, a cui stiamo lavorando da molti mesi. Non è un prodotto che presumibilmente offriranno tutti, specialmente alle banche, e se così fosse potrebbe darci qualche margine».

Per ora, quindi, è difficile distinguere come si sta muovendo il Mercato?

«La partenza ai blocchi avverrà quando uscirà il decreto. Dopo, si scatenerà un po’ la bagarre, perché tutti cercheranno di partire il prima possibile. Ci sarà chi si lamenterà dicendo che il testo non è chiaro o non è equo, ma noi cerchiamo sempre essere nel club di quelli che fanno, non dei disfattisti».

Nel primo semestre il settore ha visto risultati tutto sommato interessanti. Qual è l’influenza delle scelte di politica monetaria delle Banche Centrali?

«Il semestre è positivo. Certamente, il regime dei tassi alti ha stabilito ormai una nuova normalità per il settore. Il ramo Danni, una voce che non pesa tantissimo nel bilancio della maggior parte delle compagnie, da zero o poco più è arrivato a coprire il 15/20% del margine complessivo, anche se ancora non riflette completamente questo nuovo andazzo. Per il Vita, poi, interviene addirittura un cambio totale di appetibilità del business, sia dal lato della domanda sia da quello dell’offerta. In generale, tutto ciò che ha a che fare con i tassi d’interesse, che per le compagnie di assicurazioni è molto rilevante, io lo vedo come un cambio di regime che ci porteremo avanti nei prossimi semestri e nei prossimi anni, pur con un allentamento della politica monetaria in parte da già previsto e in ogni caso già scontato dal Mercato».

Dunque, non vi aspettate che un allentamento sul fronte dei tassi possa cambiare più di tanto la situazione?

«Le cose che dovevano cambiare sono già cambiate, per cui non ci aspettiamo che cambi più di tanto da qui in avanti. L’allentamento, nel breve termine, potrebbe creare investimenti a tassi leggermente più bassi, ma lo stock ormai è investito e anzi quello a reddito fisso tende a rivalutarsi, generando anche plusvalenze. Di conseguenza, mi aspetto che i proventi finanziari non scendano rispetto a quelli che stanno maturando nel corso di questo esercizio, anche grazie all’aumento dei tassi degli anni precedenti».

Guardando alla situazione per singolo ramo, quali sono le linee di tendenza principali?

«Certamente, nel nostro caso, notiamo ottimi andamenti per quanto riguarda la cessione del quinto, quindi caso morte e disoccupazione. Questo dipende molto dallo scenario macro e da come ciascuno gestisce queste variabili dal punto di vista tecnico, di pricing e underwriting.

Per quanto riguarda lo scenario macro, siamo in un pienissimo post-pandemia, partendo dalla disoccupazione: in Italia, i dati recenti ci dicono che da decenni non era così bassa. E lo conferma l’evidenza aneddotica di un po’ chiunque cerchi personale: assumere una persona, a tutte le qualifiche, oggi è veramente complicato, perché la domanda di lavoro è maggiore dell’offerta. Non è che questo si trasmetta automaticamente ai numeri della garanzia unemployment, però di certo aiuta.

Per quanto riguarda la mortalità, invece, è tornata ai livelli di prima del Covid-19, quindi chi in qualche modo aveva prefigurato e si era preparato a gestire un’evoluzione negativa del rischio in quest’ambito, certamente oggi ne trae benefici. Quello che al momento soffre di più, invece, è il ramo auto, di cui non ci occupiamo. Sono in corso i riaggiustamenti di prezzo. Come al solito oscilla tra un lieve utile e una lieve perdita. Adesso siamo a metà strada, ma vedo difficile che peggiori ancora. In breve, è in un trend positivo, anche se solo marginalmente».

In quali rami potremmo vedere gli effetti positivi maggiori?

«Innanzitutto, in quelli che dipendono dal cambiamento climatico, quindi la casa e i corpi di veicoli terrestri. L’aumento di probabilità delle catastrofi naturali – che c’è ed è oggettivo – significa un rischio maggiore, e quest’ultimo scatena nel tempo due cose, di solito.

Innanzitutto, la domanda è più consapevole che possano verificarsi davvero certi eventi estremi. L’offerta, invece, tenderà a prezzare meglio e con maggiori margini di garanzia questi rischi. Adesso siamo in una fase in cui sicuramente tariffe e approcci sono ancora un po’ vecchio mondo, c’è disequilibrio. Però la transizione è evidente: quest’anno hanno aumentato già tutti e continueranno a farlo. Gli effetti di queste dinamiche si vedono con molta chiarezza nei riassicuratori. Ci si potrebbe aspettare che stessero registrando grosse perdite o come minimo stessero subendo pressione sui margini di profitto, in seguito al verificarsi degli eventi estremi. In realtà, sono tutti ai massimi storici quanto a valore, capitalizzazione e utili: questo vale per tutti i principali operatori.

Insomma, a livello statico, il cambiamento climatico può essere un problema, cioè può generare provvisorie riduzioni dei margini di profitto, anche significative. Ma non c’è nessuna compagnia che esce in perdita per questo motivo, neanche le più esposte. Per fare un esempio, conosciamo una compagnia con sede a Bologna e che l’anno scorso ha sofferto, perché assicura praticamente tutta l’Emilia Romagna. I conti ne hanno risentito, ma essendo un player diversificato, ha presentato comunque un buon bilancio. In secondo luogo, è necessario citare il ramo malattie, che è una linea in crescita già da prima della pandemia ed è forse il campo in cui più sentiamo il progressivo miglioramento della cultura assicurativa degli italiani. Molto graduale e lento, ma c’è. È questo fronte, assieme a quello già citato del cambiamento climatico, ad avere un effetto positivo di lungo termine sulla domanda».

I rischi geopolitici che figuravano in cima alla lista delle preoccupazioni nel vostro piano industriale 2022-2025, sono oggi meno in rilievo nella nuova versione 2024-2028. Eppure, gli shock internazionali non sono venuti meno. Il settore sta adattandosi a questa situazione?

«Certo, siamo in un mondo pieno di cigni neri, ma il nostro approccio è ovviamente quello di metabolizzare il loro effetto. Viviamo in un’era di incertezza radicale, però il modello di business, nel nostro caso, cui si unisce la dimensione nel caso delle compagnie più grandi, ci rende in grado di assorbire tutti gli shock, prevedibili e non. Dopodiché, ovviamente, se c’è uno shock colossale, che non ci auguriamo, bisogna rifare il quadro per adattarlo a quel tipo di inconveniente.

Ma bisogna che sia davvero colossale. In generale, il business assicurativo, grazie alla sua diversificazione, al suo orientamento di lungo periodo, al miglioramento tecnologico intervenuto nel corso del tempo, riesce a esprimere una certa resilienza. Più, per esempio, di quella che hanno dimostrato negli anni le banche, dove abbiamo i vincenti, che oggi fanno molti utili, ma anche una lunga lista di cadaveri. Mi piacerebbe pensare che noi siamo molto più bravi dei colleghi bancari, ma ovviamente non è così semplice. Si tratta di differenze intrinseche tra i business».

Nella nostra ultima intervista, lo scorso anno, parlava di un forte bisogno di Bancassicurazione. Questa esigenza rimane?

«Lo confermo pienamente. Sia dal lato della domanda sia da quello dell’offerta. Per il primo caso, la Bancassurance porta più gente ad assicurarsi, e nel quadro che accennavo, in cui questi bisogni maturano gradualmente, è ovvio che l’entry point bancario sia perfetto. Innanzitutto, perché è più semplice, soprattutto per chi si avvicina alle assicurazioni per la prima volta.Poi, situa l’assicurazione nel panorama della posizione complessiva del cliente, al contrario dell’acquisizione in un canale verticale, che tende invece a operare sui soli bisogni assicurativi. Dalla parte dell’offerta, come abbiamo sostenuto nel nostro piano industriale, crediamo ci siano ancora notevoli margini di crescita nell’ambito. In secondo luogo, crediamo che per esprimerci al meglio avremo bisogno di aumentare ulteriormente le nostre partnership. Noi parliamo di uno o due partner, innanzitutto perché abbiamo le risorse da investire per finanziare questi accordi. In più, perché siamo in grado di sostenerli, vista la macchina operativa che abbiamo messo a punto. Infine, perché abbiamo la reputazione necessaria sul Mercato.

Come aggancio, crediamo molto che la nuova polizza obbligatoria Cat-Nat possa essere un importante strumento. Questo perché pensiamo che valga la pena di offrirla, ovviamente con tutta la protezione riassicurativa del caso, a seconda dell’appetito per il rischio. Dall’altro lato, pensiamo che sia realizzabile, per chi ha potenziale bancassicurativo, in una forma bancabile. In altre parole, che sia presentabile a uno sportello di banca, realizzando un prodotto e una tariffa relativamente standardizzato, totalmente informatizzato e comprensibile a chi lo deve proporre e chi lo deve acquistare. Questa è una grande sfida, a cui stiamo lavorando da molti mesi. Non è un prodotto che presumibilmente offriranno tutti, specialmente alle banche, e se così fosse potrebbe essere un prodotto che ci dà qualche margine».

Un altro aspetto interessante di novità è rappresentato dai canali alternativi di distribuzione. Quali tendenze intravede in questo campo?

«Lato distributivo, le cose evolvono molto lentamente. Una delle tendenze l’abbiamo citata, cioè la progressiva crescita delle banche nei Danni, mentre nel Vita sono ormai stabilizzate da decenni. L’altro aspetto in evoluzione che emerge è la cosiddetta embedded insurance. La possiamo definire una nuova forma di distribuzione? C’è chi dice di no, chi di sì. In ogni caso, nelle statistiche non la vedremo mai come voce a se stante, ma sempre all’interno dei canali formali, quelli inseriti nel Registro Unico degli Intermediari dell’IVASS.

Purtroppo, devo dire, perché ovviamente chiarirebbe molto di come le cose stanno evolvendo. In generale, è difficile identificarla anche perché esiste in più di una forma. Noi ne identifichiamo 3: la prima è quella usata in passato anche per i conti correnti, quando il prodotto è proprio nascosto e il cliente neanche se ne accorge. Ma questa soluzione oggi è impresentabile dal punto di vista normativo.

Dopodiché, c’è la forma embedded vera e propria, in cui il prodotto assicurativo viene venduto insieme a un altro servizio, ad esempio quando affitto una casa e l’assicuro per i danni contestualmente al contratto stesso. Poi c’è la formula che stiamo sperimentando nel progetto con Wefox Wind3, che chiamiamo ‘light embedded insurance’ o ‘quasi embedded insurance’: il prodotto è venduto in autonomia, ma all’interno di un ecosistema più ampio in cui si propone al cliente di comprare l’intero servizio. Nel caso di Wind, noi vendiamo tre servizi tra loro integrati, che sono energia, assicurazione e telefonia. Hanno una loro logica di ecosistema, essendo tutte legate alla casa e ai servizi di base, ma ciascun prodotto è venduto da solo, con una sua procedura».

Qual è la portata di questa novità?

«È una grossa evoluzione e una tendenza a cui guardare con grande attenzione. Dopodiché, non credo che si faranno i trilioni di fatturato che qualcuno auspica, però certamente è un settore in crescita e comunque di un’importanza maggiore di quella che realizziamo, perché i numeri non sono mai così visibili e facili da cogliere a priori».

Anche guardando alla risposta che avete avuto da parte del cliente, trova che questa versione light possa portare vantaggi maggiori?

«Rispetto alle altre embedded sì, ma come per i canali, ogni cliente deve trovare l’offerta giusta. Ciascuno, a seconda della sua propensione, della sua cultura e di tante altre variabili soggettive, ha un canale preferito, che non è per forza esclusivo. In generale, dunque, l’allargamento del pool di formule efficaci e di successo è un segnale positivo della diffusione di cultura assicurativa e del livello di protezione dell’economia, che è un fattore di resilienza complessivo, che nel lunghissimo termine aiuta anche lo sviluppo economico».

Di recente, anche in relazione a formule di tipo embedded, si parla molto delle possibili applicazioni della Blockchain al settore delle polizze, per esempio con l’introduzione di smar contract. Quali sono i suoi vantaggi rispetto ai modelli tradizionali?

«In questo caso, la mia definizione è “tecnologia in cerca di un problema” invece di un problema risolto dalla tecnologia. Qui il discorso sarebbe lungo, ma mi limito ai fatti. Non ci sono casi di successo, soprattutto non “a bersaglio grosso”, come potrebbe essere l’RC Auto, per esempio. Ma se parliamo del Vita, con il tipico esempio dell’assicurazione del ritardo aereo che si cita sempre, stiamo parlando di una percentuale minima del Mercato assicurativo mondiale.

Io penso anche di aver identificato il perché di questo. La Blockchain, che sulla frontiera di alcuni pagamenti è fondamentale, risolve problemi che nel settore assicurativo non esistono. La certezza dei dati, per esempio, non è una questione nel nostro campo. I numeri sono certi, raramente si litiga con le controparti per delle incongruenze, e se avviene è sulle valutazioni, non sulle cifre su cui si basano. Dopodiché, la Blockchain funziona bene perché disintermedia, ma il nostro è un settore che rimarrà al 95% sempre intermediato, per cui non so cosa ce ne potremo fare».

©

Articolo tratto dal numero del 15 settembre 2024 de il Bollettino. Abbonati!

📸 Credits: Canva

Da sempre appassionato di temi finanziari, per Il Bollettino mi occupo principalmente del settore bancario e di esteri. Curo una rubrica video settimanale in cui tratto temi finanziari in formato "pop".