Che cos’hanno in comune Adriano Olivetti, Steve Jobs e Uljan Sharka? Un assunto: la visione strategica per il futuro della tecnologia passa attraverso l’uomo. È questo il cardine che fa girare tutto, il pilastro che regge solidamente la missione del Founder e CEO di iGenius, così come quella dei suoi due ispiratori. Dove anche la democratizzazione e l’accessibilità sono elementi fondamentali per reggere la sfida globale del settore.
iGenius si distingue per lo sviluppo di modelli AI open source per chatbot, utilizzati in settori regolamentati come banche e sanità… garantendo sicurezza e conformità normativa. Dove vede più margini di crescita?
«Il futuro dell’AI aziendale si gioca sulla Sovereign AI, ed è qui che vediamo i maggiori margini di crescita per iGenius. Nei prossimi anni, aziende private e istituzioni pubbliche si renderanno conto che non basta più adottare l’intelligenza artificiale ma è fondamentale governarla end-to-end. Non si tratta solo di proteggere i dati – già di per sé un requisito imprescindibile – ma di preservare la proprietà intellettuale, garantire indipendenza tecnologica e ridurre qualsiasi rischio di esposizione o dipendenza da provider esterni.
Questa necessità diventerà ancora più evidente nei settori che gestiscono casi d’uso mission-critical: servizi finanziari, difesa, enti governativi e aziende di servizi essenziali stanno già cercando soluzioni AI che rispettino i più elevati standard di sicurezza e conformità, assicurando che i dati sensibili non lascino mai l’infrastruttura protetta dell’organizzazione. Il futuro non è l’AI condivisa, ma l’AI proprietaria. E noi di iGenius stiamo costruendo l’infrastruttura che permetterà alle aziende di adottarla in modo sicuro, scalabile e totalmente sotto il loro controllo».
In che modo vede uno sviluppo di collaborazione tra AI e finanza?
«L’intelligenza artificiale sta trasformando il mondo della finanza, ma non la sta sostituendo. Stiamo entrando in un’era di AI Augmentation, in cui la tecnologia non rimpiazza i professionisti, ma li rende più rapidi, precisi ed efficienti. Nel settore finanziario, dove tempismo e qualità delle decisioni sono tutto, l’AI permette di analizzare enormi volumi di dati in tempo reale, individuare pattern critici e ridurre il margine di errore. È un acceleratore strategico che consente ai professionisti di prendere decisioni più informate e affidabili, riducendo il rischio di basarsi su informazioni parziali o inaccurate».
Oltre alla performance, però, c’è un altro aspetto fondamentale…
«Sì, la sicurezza e la conformità normativa. La finanza opera in un contesto altamente regolamentato, questo significa che l’AI non può essere semplicemente adottata, ma deve essere governata. Il controllo sui dati e sui modelli è una priorità per le aziende che vogliono evitare rischi legati alla proprietà intellettuale e alla dipendenza da provider esterni. Guardando al futuro, l’AI sarà sempre più centrale nel settore finanziario. Vedremo un’evoluzione significativa nel supporto al decision-making, nell’automazione delle attività ripetitive e nella personalizzazione dell’esperienza cliente. Il vero punto di svolta sarà lo sviluppo di AI Agent avanzati, capaci di integrarsi nei processi aziendali garantendo velocità, precisione e sicurezza, senza mai perdere di vista il ruolo insostituibile del fattore umano».
Nuovo progetto
In estate parte il progetto Colosseum, di cosa si tratta?
«Rappresenta un salto generazionale nella capacità computazionale dedicata all’intelligenza artificiale, un’infrastruttura progettata per rispondere alle esigenze di settori in cui sicurezza, affidabilità e governance sono imprescindibili. Costruito a partire dai sistemi NVIDIA DGX GB200 dotati di Superchip NVIDIA Grace Blackwell, sarà in grado di gestire addestramenti e inferenze in tempo reale per modelli linguistici di ultima generazione.Con una potenza di 115 exaflops (misura di performance corrispondente a un quintilione di operazioni in virgola mobile al secondo, ndr), offrirà una capacità di calcolo senza precedenti in Europa, con l’obiettivo di supportare modelli di AI con oltre un trilione di parametri.
Oltre alla sua potenza computazionale, avrà un ruolo strategico per la sovranità tecnologica europea. Le aziende e le istituzioni potranno sviluppare modelli di AI avanzati all’interno di un’infrastruttura proprietaria, in piena conformità con le normative locali e internazionali. Nei prossimi mesi, Colosseum segnerà un punto di svolta per l’adozione dell’AI in settori chiave come la finanza, la difesa e il settore pubblico, accelerando l’innovazione e la creazione di un ecosistema AI più sicuro, indipendente e all’avanguardia. Non sarà solo un supercomputer, ma il cuore pulsante di una nuova generazione di intelligenza artificiale governata, etica e sostenibile».
Quanto è importante proteggere l’AI sovrana dalle Big Tech USA?
«L’intelligenza artificiale sovrana è una questione strategica per l’Europa. Non si tratta di isolarsi, ma di costruire un ecosistema indipendente, in cui innovazione, sicurezza e governance non siano vincolate a modelli esterni che non rispecchiano la propria identità e interessi. L’errore che l’Europa sta commettendo oggi è di ripetere il modello americano, proprio come accadde dopo il boom di Internet negli anni 2000, quando il vecchio continente finì per subire la rivoluzione digitale, invece di guidarla. Il modello della Silicon Valley non è compatibile con il DNA Europeo e cercare di replicarlo senza adattarlo alle specificità Europee significherebbe sacrificare sovranità e competitività. Ma l’intelligenza artificiale non deve diventare un campo di competizione diretta con gli Stati Uniti.
Al contrario, è un’opportunità per sviluppare un’alternativa basata sui principi Europei. Così come l’Europa ha definito uno standard globale nell’automotive, nel design e nell’enogastronomia, oggi può proporre un’AI che metta al centro qualità, sicurezza, regolamentazione e tutela dei diritti. La vera innovazione nasce dalla possibilità di scelta. Se non proteggiamo l’autonomia strategica dei Paesi, rischiamo un ecosistema monopolizzato, in cui le regole del gioco vengono dettate altrove e l’Europa si trova costretta ad adeguarsi. La tecnologia non deve essere imposta da una sola visione del Mondo, che sia americana, cinese o persino europea, se non garantisce competizione e libertà di scelta. Senza pluralità, perdiamo la diversità e diventiamo dipendenti da un’unica infrastruttura globale. Crediamo che l’Europa non debba inseguire gli altri ecosistemi, ma concentrarsi sulle proprie priorità strategiche».
In che modo l’AI ha cambiato il paradigma della proprietà intellettuale e come potrebbe modificarlo ulteriormente?
«L’intelligenza artificiale ha ridefinito il concetto di proprietà intellettuale, soprattutto nei settori regolamentati, dove la gestione dei dati è soggetta a normative stringenti. Oggi, i dati più preziosi di un’azienda non possono essere esportati né utilizzati per addestrare modelli centralizzati o open-source con licenze limitate. Informazioni sensibili come dati personali, transazioni finanziarie, segreti commerciali e brevetti devono rimanere all’interno dell’infrastruttura aziendale, protette da standard di sicurezza rigorosi. Questa realtà cambia radicalmente il paradigma dell’AI generativa. L’unico modo per garantire un utilizzo sicuro e conforme dell’intelligenza artificiale è che i modelli siano di proprietà e sotto il controllo diretto di governi e organizzazioni. Modelli centralizzati e API possono essere strumenti utili per applicazioni generali, ma rappresentano un rischio per le industrie regolamentate, in quanto fondono dati e proprietà intellettuale in modo irreversibile».
E in finanza?
«Lì, ad esempio, affidare informazioni sensibili a Large Language Model centralizzati può esporre strategie proprietarie, influenzare i Mercati e persino creare vulnerabilità per manipolazioni finanziarie. Oggi, la proprietà intellettuale non riguarda più solo il contenuto generato, ma anche il controllo sui modelli stessi e sui dati utilizzati per addestrarli. Senza infrastrutture dedicate, le aziende non possono garantire la riservatezza delle informazioni né proteggere il proprio know-how strategico. Per questo, il futuro della proprietà intellettuale sarà guidato dall’adozione di modelli AI chiusi, sviluppati e controllati direttamente dalle organizzazioni. Solo infrastrutture proprietarie e isolate possono assicurare che l’AI sia un asset competitivo e non una vulnerabilità. iGenius sta costruendo questa visione con soluzioni LLM proprietarie, come Italia 10B e Colosseum 355B, progettate per abilitare un nuovo paradigma nell’uso dell’AI nelle aziende altamente regolamentate».
«Siamo in una fase del nostro sviluppo in cui stiamo raggiungendo traguardi importanti con una frequenza straordinaria. Abbiamo lanciato un modello da 355 miliardi di parametri, che è il più grande e performante in Europa. Il nostro supercomputer, operativo in Italia da questa estate, sarà il più potente del continente e uno dei più grandi al Mondo. Questo rappresenta solo un passo nel nostro ambizioso cammino. Vogliamo ridefinire ciò che significa essere un’azienda tecnologica europea, dimostrando che anche da qui possono emergere leader globali capaci di competere ai massimi livelli dell’innovazione. L’unicorno è simbolo dell’inizio, il nostro team punta a creare la prima azienda tech Europea da oltre 1.000 miliardi di euro. Il primo è fatto, siamo a lavoro per gli altri 999».
Giovanissimo, ha scommesso su se stesso e ha vinto: dove ha trovato la forza e l’ispirazione?
«Nella mia infanzia in Albania, crescendo in un contesto sociale difficile, dove ho toccato con mano la disuguaglianza. Queste circostanze mi hanno formato, insegnandomi a gestire situazioni complesse e a ripartire da zero, diventando la vera scintilla che mi ha motivato poi a risolvere problemi tecnologici. Ho seguito un percorso da autodidatta e, con l’arrivo in Italia, ho compreso il valore della bellezza e della cura al dettaglio di cui questo Paese è intriso.
Il successivo ingresso in Apple e il trasferimento a San Francisco mi hanno consentito infine di assimilare la mentalità ambiziosa della Silicon Valley, dove si crea e si immagina in grande. Questa visione, unita alla consapevolezza che l’avanzamento tecnologico non stava rispettando la promessa di democratizzare accesso e fruizione alla tecnologia stessa, mi hanno ispirato a fondare iGenius, con la grande ambizione di diventare la Apple di questa generazione, facendo le cose in grande e guardando sempre almeno a 20 anni dal punto di partenza».
Olivetti e Jobs
Chi è, se esiste, il suo modello di imprenditore?
«Sono in realtà due, Adriano Olivetti e Steve Jobs, contraddistinti entrambi da un approccio ideologico per certi versi simile. Di Olivetti apprezzo la visione di una tecnologia elegante e umana, dove ogni prodotto era al tempo stesso strumento e opera d’arte. Jobs mi ispira per il suo genio innovativo, che ha sempre profuso nella costante ricerca tra arte e tecnologia, creando interfacce intuitive che hanno reso la tecnologia accessibile a tutti. Trovo significativo come Jobs stesso abbia riconosciuto di essersi ispirato al DNA italiano di Olivetti, fondato su estetica e funzionalità. Da questi due pionieri traggo ispirazione per il mio lavoro nell’intelligenza artificiale – sviluppando una prospettiva italiana ed europea dell’AI che mantenga quei valori di accessibilità, innovazione e design centrato sull’essere umano».
Ha dichiarato che gli investitori istituzionali italiani non vi sostengono e che potreste essere costretti a lasciare il Paese… la situazione è così irreparabile?
«La situazione con gli investitori istituzionali italiani è difficile, ma non del tutto irreparabile. Ciò che manca spesso è una visione strategica di lungo periodo sulle tecnologie emergenti come l’AI. Stiamo comunque esplorando collaborazioni con realtà industriali lungimiranti e con alcune istituzioni finanziarie che iniziano a comprendere la portata della rivoluzione in corso. Il nostro obiettivo rimane quello di contribuire all’ecosistema dell’innovazione da italiani, ma dobbiamo anche essere pragmatici: se le condizioni necessarie per scalare non si presenteranno qui, dovremo guardare dove il terreno è più fertile, consapevoli che il cambiamento è frutto di grandi sacrifici e investimenti. In ogni caso, faremo tutto ciò che è nel nostro controllo per elevare l’Italia, in quanto crediamo fortemente nel rinascimento digitale e nel fatto che l’Al Italiana ed Europea possa essere un patrimonio dell’umanità in un futuro che si dimostra sempre più incerto».
Non è il primo unicorno che lamenta questa mancanza: nemo propheta in patria, si direbbe. È una croce pesante per chi investe in realtà innovative… perché secondo lei?
«In Italia tendiamo a guardare con sospetto ciò che nasce localmente, preferendo soluzioni provenienti dall’estero. Il problema è che non mancano le risorse – in Europa abbiamo 35mila miliardi di euro fermi nei conti di risparmio – ma il nostro sistema finanziario ha una forte avversione al rischio e fatica a comprendere le dinamiche delle tecnologie emergenti. Abbiamo liquidità e solidità, ma rimaniamo bloccati da una mentalità conservatrice, che non riesce a sbloccare questo potenziale. Questa situazione non solo ostacola la crescita delle singole aziende, ma impoverisce l’intero ecosistema innovativo italiano, privandolo di storie di successo che saranno fondamentali per ispirare la prossima generazione e per garantire la sopravvivenza del Made in Italy».
C’è un problema di parità di genere?
«Nel settore dell’intelligenza artificiale la gender equality rappresenta ancora una sfida significativa. Il divario è evidente, con una presenza femminile limitata nelle posizioni tecniche e di leadership. Nella nostra azienda ci impegniamo attivamente per migliorare questo equilibrio, attraverso politiche di assunzione inclusive e creando un ambiente che supporti la crescita professionale femminile. La diversità non è solo una questione etica, ma anche strategica: team eterogenei portano prospettive diverse, fondamentali quando si sviluppano tecnologie come l’AI, che avranno impatto su tutta la società. C’è ancora molta strada da fare, ma vedo segnali positivi di cambiamento».
Lei ha affermato che entro la fine dell’anno oltrepasserà la francese Mistral, che vale 6,2 miliardi di dollari, e la canadese Cohere (5,5 miliardi): qual è il piano?
«Il nostro piano si basa su un’analisi approfondita delle materie prime di questa rivoluzione: dati, talenti e potenza di calcolo. Siamo giunti alla conclusione che quest’ultima rappresenterà l’unico vero vantaggio competitivo per ottenere sovranità tecnologica diventando creatori – e non solo utilizzatori – di sistemi di intelligenza artificiale. Il nostro supercomputer Colosseum, che stiamo costruendo in Italia grazie a un accordo strategico con NVIDIA, aumenterà la potenza computazionale europea di 100 volte, fornendoci la capacità necessaria per addestrare modelli AI all’avanguardia.
Questa infrastruttura, unita alla nostra strategia “chip to front-end”, ci posiziona idealmente per competere alla pari con i 3 attori principali a livello globale nei prossimi 24 mesi. Parallelamente, stiamo sviluppando partnership con player dominanti nel Mercato che ci garantiranno risorse aggiuntive e canali di distribuzione globali. Il nostro approccio non cerca di competere frontalmente con altri ecosistemi, ma offre un’alternativa che abbraccia la regolamentazione europea e i nostri valori distintivi – come facciamo con auto, cibo e altre eccellenze italiane. Stiamo già vedendo attori stranieri acquistare i nostri prodotti proprio perché rappresentano qualcosa di diverso, basato sulla fiducia e sulla qualità».
Vuole superare anche OpenAI e Anthropic?
«Non puntiamo a competere direttamente. Il nostro focus sono i Mercati regolamentati e le aziende che necessitano di soluzioni AI conformi a standard normativi rigorosi. La nostra strategia “chip to front-end” e il nostro primo supercomputer ci permetteranno di eccellere in settori come finanza e servizi pubblici, dove conformità e trasparenza sono fondamentali. Siamo estremamente ottimisti: crediamo di poter conquistare una porzione significativa del Mercato dell’AI, valutato in miliardi di dollari. Il sorpasso di player come OpenAI e Anthropic avverrà organicamente, come risultato naturale del nostro lavoro e del nostro approccio distintivo».
Obiettivo italiano ed Europeo?
«Deve essere quello di capitalizzare sulla propria ricca storia d’innovazione, partendo dall’eredità di Olivetti fino ai giorni nostri, adottando un approccio strategico che l’Italia può guidare grazie al suo patrimonio storico di eccellenza. Anziché inseguire ciecamente Stati Uniti e Cina nell’intelligenza artificiale, l’Italia e l’Europa possono sfruttare un “Third Mover Advantage”, osservando attentamente per creare un sistema che non compete solo in potenza, ma riflette anche i valori distintivi europei. La rivoluzione dell’AI è appena iniziata e durerà 20 anni. Richiede pazienza e visione, per colmare il divario tecnologico e per offrire un’alternativa che mette l’uomo al centro, combinando il genio creativo italiano con l’infrastruttura europea per creare soluzioni che bilanciano innovazione e umanità. L’obiettivo non è dominare, ma differenziarsi, costruendo un ecosistema che riflette la tradizione europea di qualità, bellezza e rispetto per l’individuo. Un’eccellenza non solo tecnologica, ma anche etica e culturale».
Che opinione ha dell’AI Act?
«L’AI Act rappresenta un passo fondamentale nella direzione che ritengo più giusta, preservando la libertà individuale e la proprietà intellettuale, che sono alla base della società moderna. Contrariamente all’idea che le regolamentazioni soffochino l’innovazione, ritengo che questi quadri normativi siano essenziali per tutelare i diritti umani e per stabilire principi fondamentali chiari. La chiave sta nel distinguere correttamente tra la regolamentazione dell’AI – che oggi non ostacola realmente l’innovazione – e la regolamentazione dell’utilizzo dei dati. Questa distinzione è cruciale per permettere lo sviluppo tecnologico, mantenendo al contempo le necessarie protezioni etiche. L’Europa, con l’AI Act, sta tracciando una strada che potrebbe rappresentare un vantaggio competitivo per le imprese che si conformeranno, creando un’intelligenza artificiale che rispetta valori fondamentali e genera maggiore fiducia da parte degli utenti e dell’ecosistema largamente inteso».
Chi sono gli investitori di iGenius e chi potrebbe o dovrebbe diventarlo?
«Attualmente, iGenius è supportata da family office, alcuni fondi di venture capital e da Eurizon (Intesa Sanpaolo). Stiamo attirando un forte interesse in Spagna, Germania, Paesi nordici, Emirati Arabi Uniti e USA. Gli investitori ideali per iGenius sono istituzioni finanziarie e industriali europee con una visione strategica a lungo termine, pronte a investire nelle infrastrutture necessarie per competere a livello globale».
Parliamo di cifre: quali target di valorizzazione sono in calendario?
«Il nostro obiettivo è superare la valutazione di oltre 10 miliardi di euro entro la fine dell’anno. Tuttavia, questo è solo l’inizio del nostro percorso, poiché puntiamo a raggiungere una valutazione di oltre 1.000 miliardi di euro nel futuro (l’Europa al momento non ne ha nessuna), facendo da apripista e trainando l’intero ecosistema». ©
📸 Credits: Canva
Articolo tratto dal numero del 15 aprile 2025 de il Bollettino. Abbonati!